Diviso in 57 punti e reso noto il 10 giugno (benché rechi la data del 2 febbraio), il documento della Congregazione per l’Educazione cattolica Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione fa già discutere.
Il tema è infatti di quelli esplosivi soprattutto per la strumentalizzazione che ne fanno da tempo movimenti e partiti, gravitanti nella variegata galassia del conservatorismo di destra, per conculcare qualsivoglia diritto delle persone Lgbti e stornarne sul nascere ogni rivendicazione paritaria. Per cui, ogni qualvolta che ciò avviene, ecco subito agitare dai moderni savonarola – che nulla hanno però da spartire con le genuine ansie riformistiche del domenicano ferrarese né, meno che mai, col suo austero stile di vita – il fantomatico spettro dell’ideologia del gender.
E, come volevasi dimostrare, da Toni Brandi a Jacopo Coghe, dal neo-condannato Massimo Gandolfini al recente condannato Simone Pillon (il quale ha parlato entusiasta di costante magistero papale da Giovanni Paolo II a Francesco senza, però, alcun criterio ermeneutico e alcuna considerazione che quello in questione è un documento, sì importante, ma pur sempre d’una Congregazione) è stato tutto un susseguirsi di osanna. I quali stridono, e non poco, coi glaciali silenzi, più eloquenti d’un esplicito crucifige, che gli stessi hanno riservato e riservano alle innumerevoli dichiarazioni di papa Francesco in materia di migrazione e ambiente.
Unica voce fuori dal coro quella dello storico tradizionalista Roberto De Mattei che, senza giri di parole, ha dichiarato all’Adnkronos che il documento in questione è «ambiguo. La mia prima impressione è che l’opposizione al ‘gender’ sia apparente, perché si dovrebbe cominciare a rifiutare la stessa terminologia. Accettare il linguaggio del ‘gender’ significa di fatto implicitamente accettarne le premesse ideologiche».
L’ambiguità è indubitabile ma non certamente per il rilievo del direttore di Corrispondenza Romana. Quanto, invece, per il principio su cui poggia l’intero documento, controfirmato dal cardinale Giuseppe Versaldi e dall’arcivescovo Andrea Zani (rispettivamente prefetto e segretario del dicastero vaticano): l’affermare come reale l’ideologia del gender, che è invece una delle più fantomatiche teorie complottistiche contemporanee (la cui elaborazione si deve all’opusdeiana Dale O’Leary nel 1997) e la cui persistente diffusione può paragonarsi (fatte le debite distinzioni) con le antiche tesi del complotto giansenistico, gesuitico, massonico, plutogiudaico.
Benché venga riaffermato a ogni piè sospinto l’approccio dialogico alla questione, il documento si muove, dunque, secondo un presupposto fallace. Quello, cioè, rimarcato al punto 6, sulla necessità di «tener presente la differenza tra l’ideologia del gender e le diverse ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane.
Mentre l’ideologia pretende, come riscontra Papa Francesco, «di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili», ma cerca «di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini» e quindi preclude l’incontro, non mancano delle ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna. È in relazione con queste ricerche che è possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alla proposta».
Elemento, invece, positivo del documento è proprio il riconoscimento della validità di alcuni studi di genere, nel quadro delle cui ricerche emergono «alcuni possibili punti di incontro per crescere nella comprensione reciproca». Tra i punti di incontro, il rispetto di ogni persona, affinché nessuno «possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste».
Non di rado, si legge nel documento al punto 15, «i progetti educativi hanno la condivisibile e apprezzabile esigenza di lottare contro ogni espressione di ingiusta discriminazione». Essi perseguono «un’azione pedagogica, anzitutto con il riconoscimento dei ritardi e delle mancanze. Non si può negare, infatti, che nel corso dei secoli si siano affacciate forme di ingiusta subordinazione che hanno tristemente segnato la storia, e che hanno avuto influsso anche all’interno della Chiesa». Ciò ha comportato «rigidità e fissità che hanno ritardato la necessaria e progressiva inculturazione del genuino messaggio con cui Gesù proclamava la pari dignità tra uomo e donna, dando luogo ad accuse di un certo maschilismo più o meno mascherato da motivazioni religiose».
Un punto di incontro, continua il documento al punto 16, «è l’educazione dei bambini e dei giovani a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione, affinché nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste. Si tratta di un’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto».
Ben poca cosa, in realtà, a fronte di una riaffermazione martellante degli assunti della «reciprocità naturale di uomo e donna» (2, 31) e della famiglia quale «luogo naturale» o «società naturale in cui reciprocità e complementarità tra uomo e donna si realizzano pienamente» (36). Ma, soprattutto, a fronte di considerazioni altamente lesive della dignità delle persone intersessuali e transgender.
Si prenda, ad esempio, il punto 25, che recita: «Il tentativo di superare la differenza costitutiva di maschio e femmina, come avviene nell’intersessualità o nel transgender, porta ad un’ambiguità maschile e femminile, che presuppone in maniera contraddittoria quella differenza sessuale che si intende negare o superare. Questa oscillazione tra maschio e femmina diventa, alla fine, una esposizione solo “provocatoria” contro i cosiddetti “schemi tradizionali” che non tiene conto delle sofferenze di coloro che vivono in una condizione indeterminata. Una simile concezione cerca di annientare la natura (tutto ciò che abbiamo ricevuto come fondamento previo del nostro essere e di ogni nostro agire nel mondo), mentre la si riafferma implicitamente».
O, in particolare, la chiusa del punto 11 («Lo stesso concetto di gender va a dipendere dall’atteggiamento soggettivo della persona, che può scegliere un genere che non corrisponde con la sua sessualità biologica e, quindi, con il modo in cui lo considerano gli altri [transgender]»), che riduce bellamente a scelta, come se fosse un vezzo, una realtà esistenziale quale l’identità di genere.
Non a caso il teologo gesuita James Martin, consultore del Dicastero vaticano per la Comunicazione, ha commentato in maniera critica il testo della Congregazione per l’Educazione Cattolica.
«Il documento chiede giustamente “dialogo” e “ascolto” – ha scritto su Fb – ma mette da parte le esperienze di vita reale delle persone Lgbt. Purtroppo sarà usato come un bastone contro le persone transgender e un pretesto per argomentare che non dovrebbero nemmeno esistere.
Il documento è principalmente un dialogo con filosofi e teologi e con altri documenti della Chiesa. Ma non con scienziati e biologi, non con psicologi e, di certo, non con le persone Lgbt, alle cui esperienze viene dato poco o nessun peso».
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