Uscirà domani per i tipi milanesi Asterisco il volume collettaneo La terra non è piatta. Mondo lgbtiq*, femminismi plurali e femminismi escludenti (pp. 168, euro 15) che si compone dei contributi di Lidia Cirillo (Il sovranismo del sesso), di Paola Guazzo e Roberta Padovano (Not in our names. Voci di lesbiche politiche in Italia [2017-2021]), di Carlotta Cossutta (Scioperare per se stesse), di Mauro Muscio e Marta Palvarini (Una brutta sceneggiatura.Mondi paralleli e interconnessioni non previste: le prospettive transfemministe e la svolta reazionaria delle «radicali»).
Pubblichiamo in anteprima parte dell’ampio saggio introduttorio al volume Per la distruzione della categoria politica di sesso: elementi di critica del pensiero straight, scritto dalla sociologa, femminista, ricercatrice presso il centro di ricerca Legs Sara Garbagnoli.
(pp. 8-11)
Il fronte che si oppone all’adozione del ddl Zan esprime una varietà di componenti che vanno dall’estrema destra razzista alle mille sudditanze politiche del Vaticano, passando dalle voci essenzialiste di una parte della sinistra, delle militanti dell’associazione Arcilesbica e di alcune femministe convintamente aggrappate alla difesa di quella “differenza sessuale” presunta “naturale” che altro non è – Monique Wittig lo mostrava quarant’anni fa – che la categoria ideologica che cela l’origine tutta sociale dell’oppressione subita dalle donne e dalle persone lgbtqi+. Celarla vuol dire naturalizzarla, legittimarla, farla prosperare.
Se, come mostra con accuratezza Maya De Leo in Queer. Storia culturale della comunità lgbt+, l’opposizione tra diverse correnti e gruppi dei movimenti minoritari non ha nulla di inedito, vale la pena ricordare che proprio in Italia, in ragione della storia sociale e politica del nostro paese, il dogma differenzialista ha sempre prosperato, a destra come a manca. Qualche esempio recente: pensiamo al duo Malan-Mantovano che, dall’inizio degli anni 2000, ha costruito le persone lgbtqi+ e le persone di cultura musulmana come i nemici diversi e complementari dell’ordine nazionale, o al triumvirato Binetti-Roccella-Pellicciari, tra le prime latrici del progetto di contro-egemonia culturale lanciato dai cattolici con il Family Day del 2007. Penso, soprattutto, a Luisa Muraro che nel 2004 ha tessuto le lodi di Joseph Ratzinger, meritevole di aver scritto in prosa differenzialista uno dei testi più misogini, eterosessisti e antifemministi della storia del mondo, all’operaista Mario Tronti e al gramsciano Luigi Vacca, entrambi estensori nel 2011 di un testo sull’“emergenza antropologica” – espressione ratzingeriana anche questa – in difesa dei cosiddetti “principi non negoziabili” (idem come sopra) che altro non sono che la ritraduzione in lingua vaticana dell’affermazione della supremazia asseritamente “naturale” del regime politico eterosessuale.
Le femministe essenzialiste (mi si attorciglia la lingua a pronunciare quello che dovrebbe essere un ossimoro) e le lesbiche essenzialiste che prendono oggi la parola contro il ddl Zan, attaccano la nozione di “identità di genere”, impiegata da decenni e in decine di orientamenti giuridici nazionali e transnazionali per proteggere le persone trans* e non binarie dalle feroci violenze, molte delle quali fatali (nozione di identità di genere che nulla ha mai tolto a donne e/o lesbiche), essenzializzano, per di più in chiave maternalista, i corpi delle donne nello stesso modo in cui lo fanno i più strenui difensori dell’ordine patriarcale. Costruiscono la categoria essenzialista de “l-uomo-trans” come lesbica honteuse e la categoria essenzialista de “la-donna trans” come usurpatrice e violentatrice in potenza ripetendo gli stessi stilemi della diabolizzazione subita negli anni ’70 e ’80 dalle lesbiche da parte delle donne eterosessuali icasticamente narrata da Monique Wittig in Virgile, non. Veicolano contenuti falsi e farneticanti che dovrebbero sapere essere fabbricati da gruppi dell’estrema destra religiosa come Alliance Defending Freedom o CitizenGO con l’obiettivo di alimentare ondate di panico politico e, per tale via, accedere al potere politico a livello nazionale, certo, ma anche e soprattutto (in barba alla vernice retorica nazionalista brandita da questi attori) a livello internazionale e transnazionale.
Ecco, queste femministe essenzialiste e lesbiche essenzialiste a cui, in ragione proprio delle posizioni che esprimono, vengono offerti oggi i più assordanti megafoni dai media mainstream, hanno, come questi media del resto, una responsabilità politica gigantesca perché oggi non siamo né negli anni 2000, né negli anni 2010 e sappiamo ormai perfettamente come il Vaticano abbia costruito la nozione di “transumano”, di “antropologia umana”, di “ecologia umana”, di “gender” per continuare ad alterizzare, inferiorizzare, stigmatizzare le donne e le persone lgbtqi+ e, in tal modo, perpetuare le violenze che noi donne e noi persone lgbtqi+ subiamo. Poiché oggi sappiamo perfettamente come questi pseudo-concetti siano i lemmi di una nuova grammatica differenzialista usata in mezzo mondo da una sempre più ampia galassia transnazionale di restauratori di un supposto “ordine naturale”, di “patrioti” e “difensori dell’umano”, come si definiscono loro, che, nei fatti, sono gruppi di mascolinisti, di neofascisti, di suprematisti bianchi che alle femministe e alle persone lgbtqi+ che denaturalizzano l’ordine eteronormativo del mondo vogliono solo chiudere la bocca e, perché no, spaccare le ossa.
Oggi sappiamo perfettamente che la “rivoluzione di buon senso” cui si riferiscono questi molossi del ciseteropatriarcato, che usano lo spauracchio dell’“indottrinamento gender” (sic) per salvare un mondo in cui la violenza e la paura continuino a strutturare le nostre vite, ha come obiettivo politico il ritorno ad un fantasmatico ordine di “popoli nativi” che non devono “meticciarsi” e di sessi “ontologicamente” diversi che non devono né confondersi, né mescolarsi. Sappiamo che il mantra chestertoniano del “sarete perseguitati, se direte che due più due fa quattro” di cui si riempiono la bocca i reazionari di mezzo mondo, da Allan Carlson a Simone Pillon passando per Papa Francesco, è il leitmotiv di un packaging retorico confezionato dall’estrema destra religiosa statunitense che alla fine degli anni ’90 ha dato vita, insieme ad attori dell’estrema destra russa, al World Congress of Families, vera e propria Internazionale del pensiero straight.
Tale “rivoluzione di buon senso” si configura geneticamente e strutturalmente come una controrivoluzione perché prende di mira proprio la rivoluzione anti-essenzialista portata avanti dai movimenti minoritari e si oppone tanto alle loro lotte e alle loro rivendicazioni politiche quanto ai saperi e alle teorie che tali movimenti hanno contribuito a produrre. Pensiamo ai recenti attacchi agli studi di genere e sessualità, ma anche alle teorie critiche della razza o agli approcci intersezionali, tacciati di essere “ideologici”, “militanti”, “pericolosi”. Queste campagne di delegittimazione si sono manifestate non solo in paesi retti da regimi autoritari come il Brasile, la Polonia, l’Ungheria, ma anche in contesti come la Francia, il Regno Unito, la Danimarca.
Una tale “rivoluzione di buon senso” non ha nulla di antiquato, ma è un nuovo ambizioso progetto politico di rinaturalizzazione del mondo che affonda le sue radici ideologiche negli scritti di Alain de Benoist, di Renaud Camus, di Aleksandr Dugin e che, proprio attraverso la rinaturalizzazione delle frontiere sessuali e razziali delle nostre democrazie, mira oggi a restringere lo spettro della democrazia.