La Turchia, primo paese del Consiglio d’Europa ad aver ratificato il 12 marzo 2012 la Convenzione d’Istanbul (così chiamata perché aperta alla firma, il 7 aprile 2011, nella città del Bosforo), si è ritirata ieri dal trattato sovranazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
L’uscita è stata disposta con un decreto del presidente Recep Tayyip Erdoğan, che ha attirato l’immediata condanna del Chp, principale partito d’opposizione. Ma per i conservatori dell’Akp si tratta invece di una mossa saggia, ritenendo che la Convenzione d’Istanbul danneggi l’unità familiare, incoraggi il divorzio e sia strumentalizzata dalla comunità Lgbt+ per appoggiare le loro rivendicazioni in tema di pari uguaglianza.
Secondo Zehra Zümrüt Selçuk, ministra della Famiglia, del Lavoro e dei Servizi sociali, la Costituzione e la legislazione turca bastano a «garantire i diritti delle donne», mentre il Governo continuerà la «lotta contro la violenza sulla donne con il principio di tolleranza zero».
Parole smentite dalla costante realtà in un Paese dove violenza domestica e femminicidi restano uno dei problemi più gravi. Solo nel 2020, come documentato dalla piattaforma Kadın Cinayetlerini Durduracağız (We will stop the femicide), sono state uccise ben 300 donne in Turchia.
Con un videomessaggio, lanciato via Twitter, Fidan Ataselim, segretaria generale dell’organizzazione, ha invitato alla mobilitazione, oggi pomeriggio alle 15:00, presso la piazza del Molo a Kadıköy per dire al Governo: «Abbandona questa decisione, attua la Convenzione».
İstanbul Sözleşmesi bir lafınızla imzalanmadı,
Bir lafınızla hayatımızdan çıkmaz. #AklınızdanBileGeçirmeyin
15:00 Kadıköy İskele meydanı
Kararı geri cek, sözleşmeyi uygula. pic.twitter.com/LwOFChT6Bz— Fidan Ataselim (@fidanataselim) March 19, 2021