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Marchisio: «Nel calcio non si parla di omosessualità per paura di toccare un nervo scoperto»

L'EX CAPITANO DELLA JUVE RIFLETTE SU OMOFOBIA, RAZZISMO, AMBIENTE NEL NUOVO LIBRO "IL MIO TERZO TEMPO"

Francesco Lepore by Francesco Lepore
17 Ottobre 2020
in Sport

«Non sono uno scrittore, questa è una premessa doverosa. Ma ho sempre pensato che giocare a calcio non precludesse la possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni, anzi in alcuni casi questa fosse proprio una responsabilità dei personaggi pubblici. In queste pagine c’è molto calcio perché il calcio è una parte fondamentale della mia vita, ma c’è anche molto della mia vita senza il calcio… C’è un pezzo di me e di quello che penso».

Con queste parole il 33enne Claudio Marchisio, ex capitano della Juventus e centrocampista della Nazionale italiana dal 2009 al 2017, annunciava, il 9 ottobre, su Facebook il suo nuovo libro Il mio terzo tempo. Nel calcio e nella vita valgono le stesse regole.

Edito da Chiarelettere e in libreria dal 15 ottobre, il volume tiene dietro a Nero su bianco. La mia autobiografia social pubblicato nel 2016 per i tipi Mondadori. In 192 pagine, tra aneddoti e curiosità, l’autore ripercorre la propria vita, dominata dalla passione per lo sport, ma ne approfitta per riflettere e prendere posizioni chiare su problematiche contemporanee come il razzismo, l’ingiustizia sociale, l’emergenza climatica, il bullismo, l’omofobia nel calcio.

Tema, quest’ultimo, ampiamente affrontato ne Il mio terzo tempo, dove, ad esempio, Marchisio afferma: «Non so se ho mai avuto dei compagni di squadra omosessuali. Se ci sono stati, non si sono mai sentiti liberi di dirlo pubblicamente, né a me (cosa che conta poco) né al mondo. Ho però ben presente la disinvoltura con cui, specialmente da ragazzini, si usavano parole come “frocio” o “finocchio” per riderne, per sfotterci a vicenda, per scherzare. Forse non pensavamo al significato di quello che dicevamo, o forse ci rassicurava il fatto di poterci sentire parte di un gruppo di uguali, ci aiutava usare categorie maschiliste perché ci metteva al riparo dalle nostre fragilità che, qualunque origine avessero, restavano per l’appunto nascoste dietro questo teatrino. Eravamo ragazzini e come tutti gli adolescenti ci portavamo dietro i modelli che introiettavamo dai nostri miti, a partire dagli sportivi e passando per musicisti e attori. E lì il modello era uno e uno soltanto: l’uomo che non deve chiedere mai, come recitava anche una pubblicità (oggi fortunatamente ridicola) di quegli anni. Ora so che qualcuno di quei compagni può aver sofferto, può essersi sentito sbagliato, magari ha interrotto il suo percorso sportivo proprio per smettere di sentirsi isolato e sotto assedio».

E ancora: «Non esiste il tema, non se ne parla, non lo si considera, non lo si cita per paura di toccare un nervo scoperto che non si sa gestire. Non mi sarei mai sognato di condividere con il mio allenatore delle giovanili i miei dubbi adolescenziali, così come non lo avrei fatto con i miei maestri e professori di scuola, con gli animatori del centro estivo che frequentavo o con il prete della parrocchia dietro casa. E la distanza era ricambiata, perché nessuna di queste figure adulte ha mai provato ad aprire quella porta, a mostrare che ci si poteva confrontare liberamente e che nessuno era sbagliato. Ciascuno sperava che a parlare delle questioni “imbarazzanti” fosse qualcun altro, problema risolto. Gli unici che forse ogni tanto ci provano (ancorché spesso un po’ goffamente, e parlo per esperienza personale  quelli che nessun adolescente vorrebbe interpellare per le questioni più spinose. Abbiamo estremo bisogno di una rivoluzione dei costumi. Bisogna che l’inconsapevolezza di fondo sparisca, è necessario che il linguaggio comune si liberi una volta per tutte da qualunque ammiccamento machista, da ogni ironia sottintesa quando si parla di orientamenti sessuali. Sono convinto che debba arrivare il giorno in cui i discorsi sulla sessualità, qualunque orientamento questa abbia, perderanno l’aura di malizia che ancora oggi li ammanta».

Sull’argomento l’ex calciatore torinese è tornato ieri nel corso di un’intervista con Marco Castelnuovo de Il Corriere della Sera. Dopo aver ribadito che quello dell’omosessualità è un tema tabuale nel calcio: «Nessun mio compagno mi ha mai detto di essere gay, ma non è vero che negli spogliatoi non se ne parli», Marchisio ha spiegato che l’assenza di coming out tra i giocatori è dovuta all’«omertà, senza dubbio. Sia per la reazione dell’opinione pubblica sia all’interno dello spogliatoio. Sa quelle battute stupide sulla saponetta? Ecco, meglio evitare. Uscire dagli schemi è difficile. Per fortuna c’è il calcio femminile».

A tal riguardo, riferendosi alle calciatrici che hanno apertamente dichiarato il proprio orientamento omosessuale (è di domenica scorsa il coming out di un’ex campionessa come Carolina Morace), ha affermato che esse «sicuramente sono più emancipate, possono aiutarci a spezzare un tabù. Prima o poi ci sarà qualcuno con le spalle talmente larghe da contrastare l’inevitabile onda d’urto».

Tags: bullismocalcioclaudio marchisiolibriomofobiaomosessualitàrazzismosport
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Il 29 maggio 1998, un venerdì, prende il via la grande avventura del primo quotidiano on-line Lgbti in Italia. NOI (ora Gaynews.it) Notizie Omosessuali Italiane, diretta da Franco Grillini, eredita la testata di “CON/TATTO” registrata al Tribunale di Bologna fin dal 1989 e “organo” dell’ARCIGAY, che esce con 14 numeri prima di cedere il passo alla nuova impresa telematica.

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