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Abanoub Elias, rifugiato egiziano e amico di Zaki: «Indagine chiara sulle torture e rilascio immediato»

INTERVISTA ALL'ATTIVISTA, CHE VIVE IN CANADA DAL 2018: FU ARRESTATO PER AVER SVENTOLATO UNA BANDIERA RAINBOW

Francesco Lepore by Francesco Lepore
11 Febbraio 2020
in Mondo

Quinto giorno di detenzione a Mansoura per il 27enne egiziano Patrick George Zaki, studente del master Gemma (Studi di Genere e delle Donne) presso l’Università di Bologna e attivista per i diritti umani e delle persone Lgbti. Arrestato il 7 gennaio presso l’aeroporto de Il Cairo con l’accusa di «diffusione di notizie false su Facebook e dichiarazioni che disturbano la pace sociale», il giovane, come dichiarato dai suoi legali, è stato sottoposto a elettroshock e altre torture.

Per lui si è immediatamente mobilitato il Governo italiano a partire dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Ieri si è mossa anche la Ue annunciando adeguate azioni, se necessarie, presso il Governo egiziano.

E nella notte a Roma in via Salaria, sul muro che circonda Villa Ada a pochi passi dell’Ambasciata d’Egitto, è apparso un murale realizzato dalla street artist Laika in cui si vede Giulio Regeni che, abbracciando e proteggendo Patrick, dice: «Stavolta andrà tutto bene». Al di sotto la scritta in arabo حرية, che significa libertà.

«Vorrei che questo mio piccolo gesto – ha dichiarato Laika – fosse da stimolo ai media per accendere ancora di più i riflettori sulla vicenda di Zaki».

Accogliendo un tale appello, Gaynews, che è stata una delle prime testate a raccontare dell’arresto del 7 febbraio, ha contattato Abanoub Elias, amico di Patrick e attivista per i diritti umani, che è dovuto fuggire dall’Egitto due anni fa.

Abanoub, da quanto tempo conosci Patrick?

Dalla fine del 2016. È uno degli attivisti più colti e intelligenti che abbia mai conosciuto. Ha sempre intrapreso azioni significative in occasione di casi di violazione dei diritti umani in Egitto. Tuttavia, ciò che rende Patrick una persona davvero speciale è il modo in cui mostra sostegno e simpatia per gli altri: ciò gli proveniene dalla consapevolezza dell’importanza dell’intersezionalità e delle dinamiche di potere nella società.

Per questo motivo lo abbiamo sempre visto in prima linea e senza sconti accanto alla classe operaia, alle donne, ai cristiani copti, alla comunità Lgbtqs+, ai prigionieri politici. Senza mai incolpare nessuno tranne il regime che ha l’abitudine di schiacciare le minoranze e le comunità svantaggiate.

Perché allora la scelta di studiare in Italia?

Semplice. Patrick sa quanto sia importante per un Paese avere attivisti e difensori dei diritti umani che siano ben istruiti. Ha scelto quindi di curare maggiormente la sua formazione negli studi di genere e delle donne e candidarsi per un master in uno dei più autorevoli atenei in tale ambito qual è l’università di Bologna.

Tra le minoranze hai menzionato quella copta: perché?

Io sono stato cresciuto come cristiano copto in Egitto. Patrick, che è anche lui copto, ha sempre rappresentato con passione questa minoranza religiosa marginale nella società civile egiziana, modificando la sbagliata idea maggioritaria secondo la quale i cristiani copti in Egitto non si preoccupano dei diritti umani e sono totalmente d’accordo con ciò che fa il regime. L’altra opinione corrente è che gli attivisti cristiani non sono a rischio dal momento che lo Stato è impegnato a combattere il terrorismo islamico e perciò tutelati. Patrick è la prova vivente che distrugge tutte queste idee irrealistiche.

Abanoub, che cosa hai pensato quando hai saputo dell’arresto di Patrick?

Non ne sono rimasto sorpreso. Vorrei ricordare che a metà del 2018 mi sono dovuto trasferire in Canada, dove ho ottenuto asilo, dopo aver saputo che il mio nome figurava nella “lista dei ricercati” dalla polizia nazionale egiziana e che la mia vita era in pericolo. Il motivo? Avevo innalzato la bandiera arcobaleno in un festival musicale a Il Cairo nel settembre 2017. Come dicevo, non sono sorpreso dell’arresto di Patrick, perché, per quanto mi senta impotente e incapace, affrontiamo costantemente la sparizione forzata, la tortura, la prigione e l’idea stessa dell’oppressione da quando la rivoluzione ha scelto di affrontare il regime militare.

Quale appello vorresti lanciare attraverso Gaynews?

In primo luogo il rilascio immediato di Patrick Zaki e il ritiro di tutte le accuse. Poi, che sia condotta un’indagine chiara e trasparente in merito alle condizioni di detenzione e alle torture subite. Infine, stop a ulteriori molestie e o azioni penali nei confronti di Patrick, cui deve essere consentito di progredire negli studi, e a vessazioni nei riguardi dei familiari.

Tags: egittoil cairolgbtluigi di maiopatrick george zakipersone lgbtizaky
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Il 29 maggio 1998, un venerdì, prende il via la grande avventura del primo quotidiano on-line Lgbti in Italia. NOI (ora Gaynews.it) Notizie Omosessuali Italiane, diretta da Franco Grillini, eredita la testata di “CON/TATTO” registrata al Tribunale di Bologna fin dal 1989 e “organo” dell’ARCIGAY, che esce con 14 numeri prima di cedere il passo alla nuova impresa telematica.

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