Giovedi 4 ottobre il Consiglio comunale di Verona ha approvato, con 21 voti favorevoli e 6 contrari, la mozione 434, che prevede la qualifica del capoluogo scaligero quale città a favore della vita e il finanziamento di associazioni cattoliche impegnate in azioni di contrasto all’aborto gratuito e libero.
Uno dei primi firmatari della mozione 434, il cui proponte Alberto Zelger si è imposto alla pubblica attenzione per le dichiarazioni sui «gay sciagura per la riproduzione», è stato il deputato leghista Vito Comencini (recentemente noto per essersi opposto alla mozione con cui il consigliere Gennari del M5s intendeva stigmatizzare l’aggressione omofoba ai danni di Andrea Gardoni e Angelo Amato).
A stupire però maggiormente, fino a diventare un caso nazionale, è stato il voto favorevole della capogruppo del Pd Carla Padovani. Voto, a seguito del quale la 56enne veronese, fervente cattolica e già militante nella Margherita, è stata sfiduciata dall’incarico dagli altri tre consiglieri dem Elisa La Paglia, Federico Benini, Stefano Vallani e potrebbe perciò passare al Gruppo Misto.
Ne abbiamo parlato col deputato Ivan Scalfarotto, già sottosegretario allo Sviluppo economico e attuale componente della Commissione nazionale di Garanzia del Partito Democratico.
Onorevole Scalfarotto, come politico da sempre attento alla promozione dei diritti civili e della libertà delle persone, come commenterebbe la mozione 434?
È la parte peggiore di una destra al governo che non può non declinare la propria azione anche in una chiave di estremismo religioso vissuto come elemento tradizionalista e identitario: non una religione che accoglie, ma una religione che separa “noi” da “loro”. È il rosario sventolato da Salvini sul sagrato del Duomo di Milano che si fa politica. Del resto in tutti gli Stati governati da partiti sovranisti l’attacco alle donne e ai diritti delle minoranze è parte integrante delle politiche di governo. In questo senso basta guardare al ddl Pillon, che secondo me è solo la prima mossa di una strategia assai più ampia e pericolosa che temo vedremo spiegarsi compiutamente nei prossimi mesi anche nei confronti della comunità Lgbtqi.
Tra i sostenitori di questa mozione leghista sorprende la firma di Carla Padovani. Che cosa si sentirebbe di dirle?
Sono un componente della Commissione nazionale di Garanzia del Pd e questo mi impone di non pronunciarmi su un caso concreto, che potrebbe presto o tardi anche arrivare all’attenzione della Commissione. Però posso dire con certezza che, al contrario di altre associazioni, ciò che unisce gli iscritti a un partito è la comunanza dei valori e delle idee. E guardando al suo contenuto, si capisce bene che la mozione di Verona sia stata proposta, sottoscritta e sostenuta da partiti la cui base valoriale è antitetica e incompatibile con la cultura politica del Partito democratico.
Secondo lei vicende come questa di Verona sono frutto di una politica nazionale che sta “sdoganando” atteggiamenti liberticidi, trasformando perfino l’immaginario dei politici del Pd (come quello di Carla Padovani) o sono fenomeni isolati e slegati da dinamiche nazionali?
Assolutamente sì. Come dicevo prima c’è una cultura politica oggi molto forte, veicolata in Italia dalla Lega, che punta a sdoganare un messaggio tradizionalista e identitario che è difficilmente compatibile con un’agenda dei diritti che è per sua natura progressista, cosmopolita, aperta. Si aggiunga poi il messaggio “chavista”, in salsa venezuelana, del M5S che tende a smontare la democrazia liberale e portare all’egemonia di una cultura politica populista che è per sua natura totalitaria e dunque incompatibile con la tolleranza propria delle democrazie liberali. Non deve stupire se sui diritti civili i grillini sono sempre stati quanto meno latitanti: bastino a dimostrarlo le loro posizioni e i loro voti su questi temi, dallo ius soli alle unioni civili. Il mix delle due culture politiche oggi al governo in Italia, grillina e leghista, per l’agenda dei diritti è micidiale: il loro effetto è potenzialmente devastante.
Infine, qual è la “ricetta Scalfarotto” per un possibile recupero di fiducia e consensi per il centrosinistra italiano? Di chi è, a suo parere, la responsabilità del recente calo di consensi del Partito Democratico?
È la classica domanda da cento milioni di dollari. È stato il prodotto di una serie di concause molto serie, dalla crisi economica alla semplificazione dei messaggi che avvantaggia chi propone soluzioni semplici (e sbagliate) a problemi complessi: lo dimostra il fatto che la crisi del Pd è la stessa che ha colpito le sinistre in tutto il mondo occidentale. L’errore peggiore che si potrebbe fare è un ritorno al passato, come dimostra il fatto che chi si colloca più a sinistra del Pd vive una crisi ancor più profonda della nostra, ai limiti dell’estinzione, e ancora peggio sarebbe l’adesione a un modello populista attraverso, per esempio, un’alleanza scellerata con il M5s. La mia ricetta, se così si può dire, è quella di un profondo rinnovamento delle forme della politica – dalla forma-partito, ai modelli di partecipazione, alla selezione delle nostre classi dirigenti, tutte questioni dove non abbiamo purtroppo mantenuto le nostre promesse di cambiamento – senza abbandonare il cuore della nostra identità: la costruzione di una società più equa, il rispetto sacrale per le istituzioni repubblicane, il ragionamento come metodo di lavoro, e l’idea che il miglioramento delle cose, non solo tutte insieme ma con il lavoro giorno dopo giorno, è un obiettivo per cui vale sempre la pena di combattere.