Sarà presentato oggi pomeriggio alla 77° edizione del Festival del Cinema di Venezia, la prima grande manifestazione internazionale ad aver riaperto in presenza e in sicurezza, il trailer del del docucorto Red Shoes – Il figlio del Boss. Si tratta del biopic su Daniela Lourdes Falanga, presidente di Antinoo Arcigay Napoli e donna transessuale, figlia di un boss oggi condannato all’ergastolo, che ha affrontato un percorso esistenziale complesso, irto di ostacoli e pregiudizi, per arrivare a essere quella che è oggi: un punto di riferimento per la comunità Lgbt+ italiana e un simbolo di inclusione, di orgoglio e di rivendicazione di diritti e dignità.
Inserita nel secondo appuntamento dedicato a Cinecibo. Festival del Cinema gastronomico, la presentazione (cui presenzierà anche Franco Grillini, direttore di Gaynews e presidente di Gaynet) avrà luogo nella Sala Tropicana dell’Italian Pavillion presso l’Hotel Excelsior dopo che, a partire dalle 14:00, Donato Ciociola, ideatore della kermesse, avrà illustrato i progetti per il 2020-2021.
Girato quest’estate tra Napoli, Pompei, Castellammare di Stabia e Torre Annunziata, il corto, che si avvale delle musiche originali del celebre compositore partenopeo Marco Zurzolo, è stato realizzato dalla regista Isabella Weiss con l’autrice Raffaela Anastasio, entrambe presenti alla première veneziana. Per saperne di più su quest’ambizioso progetto cinematografico, raggiungiamo telefonicamente Daniela Lourdes Falanga.
Daniela qual è stato il momento per te più intenso ed emozionante di questo lavoro?
Il momento più sensibile di questo straordinario documentario è stato quando la regista mi ha chiesto cosa fosse la vita per Raffaele. A quella domanda non ho saputo che rispondere la verità: era la morte, l’amica che poteva liberarmi dal dolore di non essere me stessa. A quel punto ho pianto e hanno dovuto interrompere le riprese.
Come è stato lavorare sulla tua vita con un cast di professionisti?
È uno staff incredibile quello di CameraWorsk, con la regia di Isabella Weiss, la sceneggiatura di Rafaela Anastasio e l’infinito Gianni Mammolotti, candidato al David di Donatello per Malarazza. Abbiamo girato il documentario nei giorni in cui abbiamo ottenuto la legge regionale campana contro l’omolesbobitransfobia, una battaglia in cui mi rivedo insieme ai miei compagni di attivismo e in quegli stessi giorni abbiamo affrontato la narrazione di un’esistenza convulsa e ai margini, poi rielaborata con determinazione per il bene comune. Un racconto difficile da credere, troppo doloroso, ma anche la grande vittoria del bene comune, della libertà, delle relazioni, delle attività della mia associazione Antinoo. Forse in un documentario potrà essere chiaro come un bambino possa ricongiungersi alla madre, a se stesso, armai adulta e rinata.
Cosa ti auguri o ti aspetti da questo documentario?
Non ho ancora visto il documentario ma chi lo ha prodotto ha la sensibilità per cogliere l’orgoglio della comunità Lgbt+, l’attivismo, i nostri principi etici del bene comune e della famiglia. Sarà doloroso, intenso e divertente e spero coinvolgerà chiunque lo vorrà vedere. Ci sarà anche una grande curiosità. Siamo abituati ai voyeuristi in cerca di mostri. Si vedrà la natura della libertà, l’autenticità di esistenze che coraggiosamente hanno spazzato via i confinamenti ideologici, la preminenza di chi si crede giusto. In fondo la nostra libertà non parte dall’interpretazione che hanno gli altri di essa. È un principio che si determina solo nel nostro totale benessere. E intendo quello privato, personale, proprio.