Andare oltre l’invisibile, il pregiudizio e lo stigma per la realizzazione di ciò che si è nella vita e nel lavoro. Squarciare il velo dell’ignoranza per riflettere con dati edinformazioni concrete sul diritto di essere se stessi e se stesse in tutti i luoghi della comunità sociale e del lavoro.
Abbiamo perciò raggiunto Federico Polidoro, dirigente del Servizio Sistema integrato sulle condizioni economiche e i prezzi al consumo dell’Istituto Nazionale di Statistica, per parlare della prossima indagine che, oggetto di un comune impegno fra Istat e Unar con la forte sollecitazione di Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle Pari Opportunità e ai Giovani, verterà sui temi della discriminazione lavorativa per orientamento sessuale e identità di genere e politiche di diversity management.
Il progetto è finalizzato alla realizzazione di “un quadro informativo statistico su accesso al lavoro, condizioni lavorative e discriminazioni sul lavoro delle persone Lgbt e sulle diversity policies attuate presso le imprese”. Può raccontarci di cosa si tratta nello specifico?
Si tratta di un progetto che nasce dall’esigenza di colmare un gap informativo rilevante qual è quello relativo alla discriminazione nei confronti delle persone Lgbt con specifico riferimento al mondo del lavoro. A marzo del 2018, dopo una serie di incontri nei quali sono stati messi a punto obiettivi e strumenti del progetto, Unar e Istat hanno siglato un Accordo di collaborazione che ne ha definito la cornice formale.
Il progetto, finanziato grazie ai fondi del Programma operativo nazionale (Pon) Inclusione 2014-2020, si concretizzerà nella realizzazione di più indagini rivolte a tre differenti destinatari: le persone Lgbt, con un focus dedicato alle persone transgender e transessuali, le imprese e gli stakeholder. L’obiettivo è di avere finalmente un quadro di informazioni articolato che permetta di fotografare le discriminazioni delle persone Lgbt nel mondo del lavoro, operando su diverse prospettive (di coloro che sperimentano tali discriminazioni, dei datori di lavoro e dei principali stakeholder nazionali sul tema) e con l’intento di cogliere la specificità dell’esperienza delle diverse soggettività che si riconoscono nell’acronimo Lgbt.
Su quali azioni punterete per rilevare e analizzare tali aspetti su una popolazione che, soprattutto nel mercato del lavoro, appare come nascosta, invisibile e quindi sfuggente ai vincoli di rappresentatività statistica?
Per quanto riguarda la raccolta diretta di informazioni presso gli individui che si autodefiniscono Lgbt, intendiamo sottoporre un questionario, in primo luogo, alle persone in unione civile, popolazione la cui numerosità è nota. Saranno successivamente coinvolti nella rilevazione gli iscritti ad associazioni Lgbt per poi ampliare il campione anche ai non iscritti tramite tecniche statistiche specifiche finalizzate proprio a raggiungere la popolazione nascosta e invisibile di cui parli. Per quanto riguarda le imprese, verrà somministrato un questionario al responsabile delle risorse umane per raccogliere informazioni sulle politiche di diversity management attuate dalle aziende con specifico riferimento ai lavoratori Lgbt. Gli stakeholder saranno invece destinatari di interviste semi-strutturate.
È del tutto evidente che per conseguire gli obiettivi che ci prefiggiamo la collaborazione delle associazioni Lgbt è cruciale e siamo convinti che l’incontro dell’8 febbraio del Tavolo Lgbt costituito dal sottosegretario Spadafora, nel corso del quale l’Istat ha presentato il progetto, rappresenta il punto di partenza di un percorso che va in questa direzione.
Il rapporto con il mondo del lavoro e la popolazione Lgbt è caratterizzato da marcati aspetti discriminatori soprattutto in riferimento alle persone trans. Come pensate di affrontare questo tema specifico?
Un’attenzione specifica sarà dedicata alle persone transessuali e transgender più in generale, tramite un focus sugli utenti dei servizi dedicati a persone trans. Con la collaborazione delle associazioni e dei diversi sportelli dedicati, si individuerà una lista di servizi (quali ad esempio quelli di assistenza, di consulenza legale) dalla quale partire per raggiungere gli individui a cui sottoporre il questionario.
Il mondo delle grandi imprese sembra aver compreso il significato e l’opportunità produttiva che esiste nella valorizzazione delle differenze. Quello, invece, delle piccole e medie imprese fa ancora molto fatica a comprenderne il valore aggiunto. Quali strumenti adotterete per intercettarle?
L’idea è quella di somministrare il questionario sul management della diversità Lgbt mediante un modulo tematico ad hoc all’interno di due indagini Istat sulle imprese già finalizzate a raccogliere informazioni sul lavoro. L’obiettivo è quello di intervistare tutte le imprese con 500 addetti e più e un campione di imprese tra quelle tra 50 addetti e 500 addetti. Non andremo ancora sulle piccole imprese ma inizieremo a portare luce su quanto le strategie di diversity management nei confronti dei lavoratori Lgbt sono praticate almeno in una parte delle imprese di medie dimensioni. L’obiettivo è quello restituire un quadro dell’esistenza di queste strategie, della loro diffusione e tipologia cercando anche di capire quanto e che cosa è cambiato dopo l’entrata in vigore della legge del 20 maggio 2016, n. 76 (cosiddetta legge Cirinnà).
Spesso si leggono dati e informazioni sulle discriminazioni verso le persone Lgbt che non sono frutto di analisi accurate e metodologie appropriate. Quali sono i suggerimenti che si possono dare a chi desidera avvicinarsi a queste informazioni con una maggiore attenzione alla qualità delle stesse?
La trasparenza sulle metodologie adottate per raccogliere i dati ed elaborarli è un aspetto chiave per connotare l’accuratezza, l’affidabilità e il significato dei risultati di qualunque indagine statistica. A maggior ragione ciò è vero per indagini e ricerche che intendono conseguire avanzamenti di conoscenza su un tema delicato e con scarsi riferimenti qual è quello delle discriminazioni verso le persone Lgbt in particolare nel mondo del lavoro. Ovviamente la trasparenza non basta perché è poi indispensabile la qualità della metodologia e degli strumenti adottati per poter valutare la robustezza e l’affidabilità di un’informazione. Ma senza la prima è impossibile procedere con la seconda.
Via via che diffonderemo insieme con Unar i risultati del progetto, sarà quindi premura dell’Istat corredarli delle informazioni necessarie relative alle metodologie e alle tecniche adottate. Anche perché il nostro auspicio è che questo progetto, dopo l’esperienza già condotta dall’Istat nel 2011 sulle discriminazioni in generale (che l’Istat riproporrà probabilmente il prossimo anno), rappresenti il punto di partenza di un impegno permanente della statistica ufficiale sui temi della discriminazione e delle politiche di inclusione delle persone Lgbt.
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