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Addio ad Aznavour, il re degli chansonnier e paladino della causa armena. Fu precursore dei diritti degli omosessuali con ”Quel che si dice”«»

Claudio Finelli by Claudio Finelli
1 Ottobre 2018
in Cultura

Charles Aznavour, il re degli chansonnier, si è spento all’età di 94 anni nella sua casa in Provenza a pochi giorni da un tour in Giappone.

Aznavour, nome d’arte di Shahnour Varinag Aznavourian, nacque a Parigi nel 1924 da genitori armeni (negli anni si sarebbe sempre battuto per la causa armena con una fitta attività diplomatica fino a diventare nel 2009 ambasciatore dell’Armenia in Svizzera) e debuttò a teatro a soli 9 anni.

Fu nel dopoguerra che, grazie a Edith Piaf – la quale lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti –, si mise in luce come cantautore. Il riconoscimento mondiale arriva nel ’56 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie.

Negli anni ’60 fu un’escalation di successi a partire da Tu t’laisses aller (1960). E poi Je m’voyais déjà (1961), Il faut savoir (1961), La mamma (1963), For me formidable (1964) Que c’est triste Venise (1964) e La Bohème (1965).

Il fatto che cantasse in molte lingue (francese, inglese, italiano, spagnolo, tedesco, armeno, russo e perfino in napoletano) gli consentì di esibirsi in tutto il mondo diventando ovunque famosissimo.

Ma c’è un brano che ha una storia e un messaggio tale da non poter essere dimenticato.

Si tratta di Quel che si dice che, cantato per la prima volta in francese con il titolo Comme ils disent, è la prima hit musicale ad aver sdoganato il tema dell’omosessualità nella storia del èop. Era il 1972 e nessun brano era mai stato così chiaro ed esplicito prima di allora.

A ricordarlo lo stesso Aznavour, che in passato dichiarò: «Il brano prende in considerazione per la prima volta il destino degli omosessuali, ma anche quello delle loro madri, delle loro sorelle etc». 

Quel che si dice, infatti, racconta la storia di un uomo che ha un legame molto forte con la madre e che di giorno conduce una vita ordinaria mentre di notte si esibisce in un locale in abiti femminili.

La canzone, inoltre, per la prima volta denuncia la dimensione di stigma e solitudine in cui vivevano le persone omosessuali negli anni ’70. Anni, questi, in cui il progetto di coppia e di relazione era molto raro mentre frequente era l’insulto e lo scherno omofobo da parte dei benpensanti.

Insomma, Aznavour non solo fu un acuto precursore ma fu un uomo veramente coraggioso che, da eterosessuale, in una società ancora fortemente segnata dal primato eteronormativo, decise di interpretare il dolore e il disagio vissuto da tanti amici che non avevano la possibilità, gli strumenti o la forza di raccontarsi e di lottare.

Come sempre, se l’immaginario collettivo negli anni è cambiato, lo dobbiamo soprattutto a uomini di cultura e spettacolo come Aznavour, che hanno infranto un tabù per la prima volta e hanno spianato così la strada ad altri artisti che si sono misurati con l’argomento.

E gli amici omosessuali del cantautore francese, dopo aver ascoltato in anteprima il brano, come reagirono?

Purtroppo male e infatti chiesero ad Aznavour: «Non canterai mica questa canzone qua?». Ma questa è la vecchia e drammatica storia relativa all’interiorizzazione dello stigma e della vergogna con cui, purtroppo, dobbiamo ancora misurarci.

Tags: armeniachansonniercharlses aznavouredith piaffranciaGaylgbtmusicaomosessualiomosessualitàpersone lgbtiquel che si dice
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Il 29 maggio 1998, un venerdì, prende il via la grande avventura del primo quotidiano on-line Lgbti in Italia. NOI (ora Gaynews.it) Notizie Omosessuali Italiane, diretta da Franco Grillini, eredita la testata di “CON/TATTO” registrata al Tribunale di Bologna fin dal 1989 e “organo” dell’ARCIGAY, che esce con 14 numeri prima di cedere il passo alla nuova impresa telematica.

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