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Home Cultura Spettacoli

Un viaggio nella “transizione mentale” di Liv Ferracchiati: stasera la “Trilogia sull’identitá” inaugura il Festival delle Colline Torinesi

Francesco Lepore by Francesco Lepore
1 Giugno 2018
in Spettacoli

Venerdì 1° giugno al Teatro Astra di Torino la Trilogia sull’identitá | Peter Pan guarda sotto le gonne; Stabat Mater e Un eschimese in amazzonia  – in prima nazionale come trilogia –  di Liv Ferracchiati inaugura il Festival delle Colline Torinesi giunto alla sua 23° edizione. 

Il Festival della Colline Torinesi, diretto da Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla, propone appuntamenti internazionali di rilievo con una rinnovata attenzione alla drammaturgia contemporanea, ha come tema il viaggio, in tutte le sue declinazioni e da sempre è attento al tema dell’identità di genere. Alcuni spettacoli riflettono sulle migrazioni storiche o contemporanee, altri sui viaggi della mente o sui tragitti verso la definizione di una identità sessuale, altri sul flusso di memoria e di esperienze tra le generazioni.

Ventitrè gli spettacoli, otto le prime nazionali, tante le collaborazioni fra le quali quelle con Teatro Stabile di Torino, Piemonte dal Vivo, Casa del Teatro Ragazzi e con altre istituzioni non teatrali come il Museo Nazionale del Cinema e la Fondazione Merz.

Lo spettacolo di stasera è una trilogia sull’identità di genere e sul rapporto tra le generazioni che riflette con sconcertante sincerità l’esperienza dell’emergente Liv Ferracchiati e che sviluppa anche una sua lucida e consapevole visione del mondo. 

Abbiamo incontrato l’artista che ha risposto alle domande di Gaynews.

Peter Pan guarda sotto le gonne racconta l’infanzia di un undicenne degli anni ’90 nato in un corpo femminile e si interroga su che cosa significhi affrontare una transizione, anche solo mentale, dal femminile al maschile. In che modo lo fa? Che cosa ci racconta?

La parte che più mi ha colpito della domanda è che citi la transizione mentale. Nella trilogia si parla di questo. Una transizione mentale che fa il personaggio passando dal femminile al maschile. Un viaggio che fanno le persone transgender nella transizione e un viaggio che può fare anche lo spettatore. Lo spettacolo induce a spostare la percezione sul genere a intuire che c’è la possibilità di spostare il proprio punto di vista, che esistono uomini che hanno un corpo maschile, aldilà del fatto che facciano o meno la transizione, perché vivono come degli uomini a tutti gli effetti. Peter Pan parla della prima consapevolezza al riguardo, parla di un bambino che non ha i termini per descrivere ciò che gli accade, questa incapacità di narrare se stessi crea paura. Per sconfiggere la paura che è la stessa che hanno anche gli adulti bisogna avvicinarsi, capirlo.

La cosa che per me è stata molto bella da vedere con la compagnia è che questa percezione si spostava, all’inizio avevano pudore nei confronti delle persone transgender ora sembrare la cosa più naturale del mondo perché attraverso il teatro hanno cambiato la percezione.

In Stabat Mater, il secondo capitolo della trilogia, rappresentata, unitariamente per la prima volta qui a Torino in occasione del Festival delle colline torinesi, ha invece come tema centrale l’emancipazione dalla madre. Quanto può essere importante per una persona T?

Credo che tocchi tutto allo stesso modo. Con un prolungamento di questioni per una persona T.  perché è chiaro che anche il genitore fa un percorso insieme al figlio e deve volerlo fare e non è scontato. Nel caso di Stabat Mater c’è questa madre onnipresente in video gigantesca, questa madre così incombente ma molto bella (Laura Marinoni la interpreta), c’è questo spettro del complesso edipico che attraversa il personaggio e quindi questo ricercare nelle donne una madre, cosa che impedisce di staccarsi da quella figura. Queste dinamiche appartengono però a chiunque, questa simbiosi che si trasforma in una lama tagliente qualcosa che ti unisce ma che ti fa anche male; fa parte di ogni rapporto genitoriale. Chiaro che se devi anche far comprendere che quella figlia è un figlio c’è un passaggio in più ma non la farei così tragica come si fa nell’immaginario collettivo. Non sono da compatire così tanto le persone transgeder.

In Un Eschimese in Amazzonia viene affrontato il rapporto della persona transgender con la società. Come vedi e come è narrato questo rapporto?

Questo rapporto è il culmine anche per la progressione dei linguaggi. Qui la parola è verticale alla situazione della persona trans gender. La persona T, non essendo prevista, nelle situazioni più banali deve gestire gli accadimenti e improvvisare; per questo l’eschimese improvvisa, si stanca di parlare da eschimese, ha acquisito le info che gli servivano, ha dibattuto a riguardo, pensa di essere un rivoluzionario nello spostamento della percezione ma ora dice “sai che c’è? non voglio essere un eschimese voglio essere una persona”. Il tema non sussiste e ci sta anche un po’ annoiando.

Che ruolo hanno, per te, il teatro e più in generale la cultura rispetto ad alcuni temi importantissimi come la transizione o l’identità di genere?

Il teatro in generale è un luogo dove si analizzano le dinamiche dell’essere umano, anche le mie. Se mi succede qualcosa tratto un argomento per capirlo, per analizzarlo senza morale. Nel teatro non c’è giudizio puoi fare tutto, puoi fare qualcosa di sbagliato o di giusto per capire da dove deriva, puoi analizzarlo in totale libertà. Per questi temi questa assenza di giudizio è profondamente liberatoria per chi lo fa e per chi lo guarda. Le regole le inventi tu nel teatro se sei bravo gli altri ci stanno, altrimenti non funziona ma all’interno di quelle regole anche le persone che guardano possono per un attimo sospendere il giudizio.

Stabat mater apre con una bestemmia: il motivo di quella bestemmia è quello che succede a quella persona in quel momento, il ciclo mestruale nello specifico;lui descrive in modo molto fisico le sensazioni che prova, è arrabbiato, sono sensazioni sgradevoli, la bestemmia è una ingiuria verso chi l’ha messo in quella posizione ma anche una invocazione, un sollievo, è qualcosa che arriva quasi a far sorridere lo spettatore per la fragilità del personaggio. Se non sospendi il giudizio senti solo la bestemmia.

Sono fondamentali i festival a tema ma nello stesso tempo credo che sarebbe meglio vedere questi spettacoli come spettacoli, ne giova anche il tema. Sono spettacoli teatrali e basta. In questo caso si declina questo tema specifico. Quindi oggi è auspicabile che esistano festival a tema, un domani non più. Chiedo sempre di essere inserito nelle stagioni ufficiali proprio per dare più forza al lavoro che facciamo.

Tags: identità di genereliv ferracchiatiteatrotorino
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