Sembra strano, ma dopo anni di studi, attivismo e politica, bisogna impegnarsi ancora a difendere quelle che comunemente vengono chiamate tette. In particolare, si parla delle temibili “tette al vento” durante i Pride che fanno ancora tanto discutere, come è successo al Basilicata Pride dello scorso 3 giugno.
Ma facciamo un passo indietro. Il Pride è fondamentalmente il ricordo dei moti di Stonewall e, per sua natura, presuppone che nessuna organizzazione possa dire a chi sta in piazza come vestirsi o non vestirsi. Altrimenti sarebbe una parata militare, una manifestazione in divisa sindacale o un flash mob con una direzione artistica. Premesso che trovare persone al Pride con le tette al vento sia sempre più difficile, vista la meravigliosa invasione degli ultimi anni di famiglie, passeggini e persone di ogni tipo, cosa c’è dietro a chi sceglie liberamente di mostrare il seno a un Pride?
Prima di tutto c’è sofferenza. La maggior parte delle tette in questione appartengono alle persone trans, che hanno attraversato le più svariate vessazioni, violenze e discriminazioni per il semplice fatto di non riconoscersi nel proprio corpo e adesso rivendicano la libertà di essere quello che sono. Se appartengono invece a una donna, credo che basti pensare a quanto questa donna potrebbe essere accusata di essere z……la per il semplice fatto di mostrarsi. A far l’amore comincia tu, diceva molto semplicemente Raffaella Carrà.
In secondo luogo c’è libertà. Le persone trans sono state tra le prime a ribellarsi a Stonewall nel lontano 1969 contro un sistema che condannava i rapporti omosessuali e imponeva per legge di vestirsi in maniera consona al proprio sesso. Questo è avvenuto perché erano, e sono tuttora, le persone che più sentono il peso degli stereotipi, dei pregiudizi, del fatto che un uomo non è uomo se non si comporta e non segue certi schemi e una donna non può certamente essere altro che un donna biologica.
In terzo luogo c’è la sessualità. Il corpo al Pride è un valore. È uno strumento politico contro l’ipocrisia di una società che di sesso non vuole ancora parlare, nonostante nell’epoca della connettività di massa è purtroppo la pornografia a fare scuola a bambini e bambine sul sesso. Quelle tette, tra i molteplici significati, stanno lì a dire: “Vogliamo parlare di sessualità invece di fare i moralisti di giorno e i consumatori di porno e prostituzione di notte?”. È una provocazione che, specialmente nel nostro Paese, è più che legittima, considerando anche il fatto che la maggior parte dei bambini e delle bambine, oggi, non hanno gli strumenti concettuali per distinguere la pornografia dalla realtà con conseguenze pericolosissime in termini di salute e bullismo, come spiega anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (e non le pericolose trans a seno nudo). Siamo davvero sicuri che le trans a seno nudo siano pericolose per i più e le più giovani, quando non ci curiamo minimamente della quantità di violenza e messaggi negativi a cui oggi sono sovraesposti e sovraesposte ogni giorno? Blue Whale dovrebbe insegnarci qualcosa. Il bullismo a sfondo sessuale è una delle prime cause di depressione e perdita di autostima nelle giovani generazione e si alimenta con chat e social media.
In quarto luogo c’è la parità. Spesso si sente dire: “A che serve sfilare con le tette al vento per chiedere uguali diritti? Gay e trans non fanno certo questa vita tutti i giorni”.
La parità non è fatta solo di leggi. Le leggi sono solo un pilastro. Poi c’è la sostanza, la cultura, l’immaginario, le opportunità concrete. Non è un caso che nonostante la Costituzione repubblicana del 1948, il diritto di famiglia sia stato riformato solo nel 1975. Perché il petto di un uomo non fa scandalo e il seno di una donna sì? A pensarci bene, la nostra sessualità è costruita intorno al concetto di virilità maschile. La donna deve coprirsi perché è sessualmente complementare all’uomo ed è sconveniente che prenda l’iniziativa. L’idea di un seno scoperto ci turba perché scuote un sostrato culturale fatto di maschilismo e patriarcato.
Non si tratta allora solo di un banale spogliarello, solo di un’esibizione. Quello spogliarsi e quell’esibirsi al Pride hanno un valore: sono il ricordo di una battaglia di liberazione che deve essere tramandato e di cui oggi abbiamo più che mai bisogno. Qualcuno dice che i tempi sono cambiati e che le persone trans come anche le associazioni Lgbti devono rivendicare la quotidianità, la possibilità di svolgere qualunque tipo di lavoro e di educare dei figli.
Siamo d’accordo, ma esistono marce, sit in e tantissime altre manifestazioni che non sono il Pride. Il Pride, ricordiamolo, è orgoglio di se stessi, del proprio corpo e della propria identità. Nessuno e nessuna di noi vorrà trovare un lavoro in cui i colleghi insultino chi si traveste o ha manifestato in passato con le famose tette al vento. Nessuno e nessuna di noi vorrà vivere un quotidiano in cui rinnega il momento della lotta e della provocazione. Nessuno e nessuna di noi vorrà nascondere al proprio figlio o figlia le foto di anni e anni di Pride rinunciando a spiegare il valore di quelle tette.
La provocazione serve ancora oggi, perché non c’è solo un’identità da affermare, ma un tema che riguarda la consapevolezza, la libertà e l’educazione al corpo e alla sessualità. Proibire, creare il senso della vergogna, costruire il meccanismo della colpa sono purtroppo strumenti del potere che ci portiamo addosso da secoli, nei quali viviamo e con i quali ci esprimiamo, anche senza rendercene conto. Per questo, si tratta di un tema sul quale c’è una lunghissima strada da fare, affrontando moltissime forze che remano in direzione contraria per portarci indietro rispetto a quanto conquistato: per compiere questa strada abbiamo bisogno anche delle tette.
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