Classe 1985 e d’origine triestina, Andrea Ciarlatano o Ciarla (come ama farsi chiamare) è un artista al di fuori degli schemi. Ciarla è un personaggio barbuto, atletico e mezzo nudo. Il suo motto è mettersi le cose in testa, oppure stare a testa in giù, e così facendo mettersi in testa il mondo. I suoi riferimenti sono il barbone, l’idiota, lo scemo del vilaggio, il genio e la Santona.
La sua prima mostra Clutter è stata allestita il 17 giugno 2018 a Milano presso la Galleria Lanteri. Per il 2019 ha realizzato un calendario con le sue opere intitolato Ciarlendar.
Lo abbiamo raggiunto per saperne qualcosa di più.
Andrea, come nasce Ciarla?
Ciarla è una creazione spontanea con un funzionamento elementare. In primo luogo, usare ciò che ho: tecniche rudimentali e materiali di scarto, il proprio corpo, le mani, la testa. In secondo luogo, mettersi le cose in testa è prendere un posto nell’universo, addentare il mondo, fare esperienza del reale in prima persona. Oggi c’è una passività dilagante. C’è un abisso tra autore e pubblico, tra creatore e consumatore. Tutti si accontentano di materiali pronti e preconfezionati: non solo cibo e vestiti, ma esperienze, sentimenti, sessualità, relazioni. Ciarla incarna il desiderio di scardinare questo sistema attraverso la parodia e l’assurdo, con strumenti semplici usati in prima persona.
Pur rifuggendo da incasellamenti, ti senti molto vicino al pensiero queer. Perché?
Essere queer è un buon vaccino contro il sistema. Siamo cresciuti in un mondo in cui non venivamo rappresentati: al massimo, se proprio c’era un frocio in tv, era un eccentrico, un esteta. Ognuno di noi ha dovuto fare uno strappo, almeno in parte, con quel modello per rivendicare la propria presenza. Oggi siamo maggiormente riconosciuti, ma finché restiamo nell’ottica del consumo siamo solo l’ennesimo “client profiling”: l’omosessuale bello, la lesbica in carriera, con reddito medio-alto e buona disponibilità di spesa, possibilmente inquadrati in modelli di comportamento tradizionali. Se questi sono i modelli in cui ci vogliono appiattire, allora va fatto un’altro strappo. Che senso ha essere riconosciuti, se per farlo devo uscire dalle darkroom, comprare una mini, vestire Armani, votare Salvini? La visibilità è importante, ma i diritti sono un altra cosa: bisogna partire dai diritti dei più deboli, che per i grandi resteranno sempre invisibili. Per fortuna dal mondo Lgbti continuano a partire forti iniziative sui diritti: I Sentinelli, ad esempio, o i Pride, che sono diventati un movimento di solidarietà civile. E forse questi movimenti diventeranno una vera forza politica.
Cosa conta veramente per Ciarla?
Per me il punto non è essere queer o gay o etero. È pensare con la propria testa. Molti non fanno che parlare, ad esempio, di famiglia. Ma alla fine intendono un modello di consumo. La vera famiglia è un luogo spirituale: basti vedere quanti tipi ne esistono nelle tradizioni del mondo, tutte attraversate da eventi sacri e rituali. Mentre l’unico rito della nostra “famiglia moderna tradizionale”, che tradizionale non lo è più da tempo, è andare al centro commerciale. Così come quando dicono “Arte”, intendono l’arte commerciale: ti spiegano nero su bianco chi è bravo e chi vale cosa. È facile fare distinzioni culturali, perché la cultura la puoi impacchettare e mettere su un piedistallo e dire: Questa è cultura. Molto più difficile fare distinzioni creative: la creatività è grezza, primordiale, non si impacchetta e non sta su un piedistallo. Chi è più creativo: chi espone nei musei o chi dipinge le madonne sui marciapiedi? Chi scolpisce il marmo o chi fa le statuine dei presepi? Queste sono alcune delle distinzioni che la gente ha dimenticato. Per questo dico che non sono un artista ma un creativo.
A chi ti ispiri per le tue opere?
Mi ispirano Caravaggio, ma anche gli ex voto che si vedono in certe chiese, disegnati con tecniche rudimentali da gente qualunque. Le statue di Bernini come quelle di Bomarzo. Riconosco in queste opere un offerta creativa e riconoscente, e questo mi basta.
Insomma, che cos’è l’arte per Ciarla?
L’arte dev’essere generosa, catartica, non stitica come in certi spazi dell’arte contemporanea. Questi spazi mi annoiano a morte. Molti invece mi dicono che le mie foto li fanno ridere e questa, per me, è una cosa buona. C’è molto dolore nel mondo: perché quello che facciamo non può avere una funzione consolatoria? Uno degli usi della creatività potrebbe essere proprio questo: creare un riparo che sia alla portata di tutte e tutti.
Guarda le foto del Ciarlendar 2019