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«Contagiati» di Andrea Mauri, la raccolta di racconti che aveva “previsto” la pandemia

INTERVISTA AL REDATTORE RAI SULLA RACCOLTA DI RACCONTI, EDITA IN SETTEMBRE

Claudio Finelli by Claudio Finelli
8 Aprile 2020
in Libri

In tempo di quarantena per la pandemia da Covid-19 la raccolta di racconti Contagiati di Andrea Mauri, recentemente pubblicata dalla casa editrice Ensemble, sembra quasi un ammonimento profetico. Mauri, redattore Rai, che qualche anno fa aveva affrontato con successo la realtà delle chat per incontri gay nel romanzo Mickeymouse03, nelle dodici storie di Contagiati restituisce al lettore il profilo umano ed emotivo del contagiato, del diverso, dell’“appestato” condannato all’isolamento, di una vita spiata da dietro un vetro di diffidenza.

Andrea Mauri ci conduce all’interno di un inferno in cui, fino al momento della diagnosi, la condanna alla solitudine forzata è preventiva, perché la salute degli uomini è troppo precaria e troppo preziosa per rischiare. Anche in questi racconti, proprio come nell’emergenza che stiamo vivendo, il virus fa tanto più paura perché viene da lontano, perché le vie sconosciute percorse dal diverso non possono che essere strade pericolose, terre infette. Così, lo spauracchio del contagio separa mariti da mogli, genitori contagiosi da figli deludenti.

Per saperne di più su questa raccolta di racconti così inquietantemente profetica, abbiamo raggiunto telefonicamente Andrea Mauri.

Andrea, Contagiati può definirsi un progetto profetico. In cosa, secondo te, i tuoi racconti anticipano i giorni che stiamo vivendo?

Il filo conduttore è una grande epidemia che sconvolge la vita dei protagonisti dei racconti. Spezza gli affetti, divide le famiglie, separa l’amore. Ogni individuo è un nucleo a se’, monadi spaesate che agiscono in un mondo irreale. Medici e infermieri curano i ricoverati dentro tute protettive, maschere e guanti per evitare qualsiasi contatto. Chi è sottoposto alla quarantena è costretto a riorganizzare la propria esistenza. E c’è chi è costretto a lavorare in condizioni proibitive pur di guadagnare. La Grande Epidemia non infligge solo dolore e sofferenze fisiche. È una bestia subdola che si insinua anche nella psiche degli esseri umani, provocando angoscia, ansia, attacchi di panico, persino sintomi di una pazzia incipiente. Come tutti noi, anche i protagonisti del libro affrontano il dolore quotidiano in modo costruttivo, costruiscono la via d’uscita a una situazione assurda e pensano a come sarà il futuro.

Nei tuoi racconti entri nel privato emotivo e affettivo dei personaggi che sperimentano la quarantena. Solitudine, disperazione, malinconia e paura sono gli stati d’animo che ritrai più frequentemente nella tua narrazione visionaria. Quale ti sembra lo stato d’animo e il sentimento più indicato per ritrarre la realtà del contagio attuale?

Per rispondere alla tua domanda prendo spunto dal racconto Ventuno Giorni. La ragazza costretta alla quarantena si incuriosisce del medico che la va a visitare periodicamente. Ne intravede gli occhi azzurri dietro la mascherina. Se ne innamora e mette in atto un gioco per spingere il medico a raccontarsi oltre la tuta, oltre la protezione. Lascia fluire le emozioni, decide di starci dentro. Ecco, in questi giorni sospesi provo questo lasciarmi andare alle emozioni, a vivermi l’inattesa contentezza per un dettaglio, l’angoscia che il carico di dolore porta con sé, il pianto quando è necessario. Credo che in questo periodo ci legittimiamo di più ad apparire quelli che siamo. La fragilità e lo stress in un certo senso ci aiutano.

Il difficile rapporto dell’uomo con la malattia e con la morte sono probabilmente all’origine del tuo esperimento narrativo. L’uomo del XXI° secolo che rapporto ha elaborato con tali realtà?

Quello della rimozione. Mi sembra che la malattia e la morte siano i grandi temi che vogliamo cancellare dalla nostra vita. Come se fosse possibile farlo. Come se ci fossimo dimenticati, senza colpa o ad arte, che malattia e morte sono parte della vita. La pandemia in atto ha ribaltato il nostro orizzonte. Vediamo spesso immagini di malati e cortei funebri con mezzi militari e di botto ci rendiamo conto che quella roba lì esiste, non è astratta, non è qualcosa che vaga inconsistente nella nostro immaginario. Quando tutto sarà finito, non so se continueremo a sentirci invincibili e a negare la nostra fragilità, che prima relegavamo alla popolazione anziana e che adesso invece riguarda tutti.

Cosa ne pensi del fatto che, approfittando dell’emergenza Coronavirus, alcuni stati come Ungheria, Panama, Perù e Uganda stanno varando leggi e misure restrittive che danneggiano in maniera evidente le persone transgender e omosessuali?

Disapprovo quegli Stati che introducono un regime autoritario, approfittando dell’emergenza sanitaria in atto. Uomini politici che ingrassano la loro brama di potere sulla pelle dei cittadini, e ancor peggio che sfruttano il dolore e la sofferenza dei più deboli, sono indegni di ricoprire questo ruolo. Quello che è accaduto in Ungheria mette a repentaglio la politica europea, già duramente provata da una crisi sanitaria ed economica mondiale senza precedenti.

Infine, poiché stai sperimentando la quarantena in prima persona, c’è qualcosa che ti piacerebbe raccontare e che, nella narrazione, ti era sfuggita?

Il silenzio. Mi piacerebbe raccontare il silenzio della città. Confesso che durante la stesura del libro non ho pensato a questo aspetto dell’isolamento. In realtà non immaginavo che potessimo arrivare alla chiusura totale di una nazione. Questo aspetto del silenzio mi aveva catturato già durante l’isolamento cinese. Avevo visto dei video girati a Wuhan. Città deserta, silenzio rotto solo dalle voci che a una certa ora si davano appuntamento ai balconi e alle finestre per non cercare una nuova forma di  comunicare, uno dei nostri beni più preziosi. Provavo a immaginare il silenzio di una città, mi sembrava così lontano. Ora il silenzio è piombato  alle nostre latitudini. Forse sarà un silenzio diverso da quello cinese, ma per me che abito in una zona turistica di Roma, affollata tutto l’anno, il silenzio è una scoperta. Il silenzio adesso pè ascoltare il rumore delle stoviglie del vicino di fronte, i tacchi dei rari passanti, le parole chiare e nette pronunciate giù in strada. Questo silenzio misto a nuovi suoni avrei voluto raccontare.

Tags: andrea mauricontagiaticoronaviruscovid-19solitudinevirus
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