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Home Cultura

“Hotspot” dei Pet Shop Boys: piacevole disco pop sullo sfondo di una Berlino gentrificata

REGISTRATO NEGLI HANSA STUDIOS, L'ULTIMO ALBUM DEL DUO BRITANNICO È USCITO IL 24 GENNAIO

Francesco Ziantoni by Francesco Ziantoni
2 Febbraio 2020
in Cultura

Attraversare tre decenni e più, producendo dischi pop di buona qualità non è da tutti. Questo è il presupposto col quale si ascolta ogni nuovo disco dei Pet Shop Boys, oggi che sono diventati due signori maturi consci probabilmente di aver dato il meglio che potevano dare.

Il loro pubblico resta lo stesso: un’affezionata generazione, che tentava di alleggerire le difficoltà della propria vita con edulcorati prodotti sinth pop all’interno dei quali non è mancata una certa vena malinconica introspettiva, e che oggi tenta di esorcizzare la consapevolezza di quel tempo. Consapevolezza che quel tempo, per quanto difficile, è passato e con esso gli anni della spensieratezza e dell’incoscienza.

Detto questo, ascoltando Hotspot si ha la certezza quasi subito che nulla aggiunge e nulla toglie a una carriera costellata di successi planetari. Non che sia un brutto disco. Forse un po’ prevedibile. Registrato negli storici studios Hansa di Berlino, dove Bowie incise la sua trilogia capolavoro degli anni berlinesi e Idiot per il suo amico Iggy Pop, Hotspot dà il metro di come sia anche cambiata la città tedesca.

Nei bui e difficili anni ‘70 Berlino fu il centro indiscusso della controcultura, che pervase le produzioni discografiche del Duca Bianco gettando il seme da cui germogliò il kraut rock, la techno berlinese di cui il Berghain diventò il tempio e un fermento culturale alla base della rinascita della città nei decenni successivi.

Oggi la capitale tedesca fa i conti con la galoppante “borghesizzazione”, che sta fagocitando uno dopo l’altro tutti gli storici quartieri, teatro di quella stagione dura e meravigliosa al tempo stesso. Questa è il tessuto sociale che si intravede nel disco berlinese del duo inglese.

Nessuna trasgressione, nessun lampo di genio, nessun cambio di direzione repentino, nessun pugno nello stomaco. Un onesto e piacevole disco pop da cui trapela una normalità tranquillizzante di cui si fa portavoce il brano di chiusura Wedding in Berlin, in cui si canta: We’re getting married  – A lot of people do it – Don’t matter if they’re straight or gay – We’re getting married – Because we love each other – We’re getting married today.

Esso probabilmente ambisce a essere il brano incluso in ogni festa di matrimonio o unione civile d’Europa con tanto di marcia nuziale di Mendelssohn. Questa visione ottimistica, unita appunto alla dolce malinconia di essere ormai non più negli anni della gioventù pur mantenendo ancora vivo il desiderio di divertirsi, intride i brani del disco, divisi tra ballate e momenti riempipista (Monkey Business su tutte).

Però è un po’, come se festeggiando un bel traguardo in un favoloso party nella loro “nuova casa” berlinese, Tennant e Lowe abbiano smesso di guardare con lucidità ciò che succede fuori. C’è ancora tanto di cui farsi portavoce oltre a un Berlin wedding. Non è che vada proprio tutto così bene.

Tags: berghainberlinodavid bowiehotspotmusicapet shop boyswedding in berlin
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