Per la prima volta nel diritto italiano è stato affermato che un Comune italiano è tenuto a rispettare un atto dello stato civile creato in un altro Comune: in caso contrario si verrebbe conseguentemente a minare la coerenza del sistema.
Sì, quindi, al pieno riconoscimento a Rovereto di due madri. Con l’arrivo, ieri, della carta d’identità la vicenda è stata resa pubblica dallo Studio Legale Schuster.
È stato proprio il rinomato Studio trentino a spiegare nei particolari l’accaduto attraverso un comunicato: «L’ottobre scorso nasce fuori dalla Provincia di Trento Davide. Nasce dall’amore di due donne, di cui una è anche la madre partoriente. L’atto che le riconosce entrambe è formato nel comune di nascita.
Tuttavia, essendo entrambe residenti a Rovereto, è qui che il bambino doveva essere necessariamente registrato all’anagrafe come figlio loro. A novembre le madri apprendono che il Comune si rifiuta di riconoscere quell’atto, ma apprendono anche il rifiuto riguarda anche la madre partoriente. A nulla servono sollecitazioni e buon senso. Davide non avrà mai una carta d’identità perché per il Comune è come egli non esistesse sul suo territorio.
Senza un documento di identità la famiglia non può viaggiare, non può fare vacanze in albergo. Sorgono problemi per la maternità con l’Inps, il passaporto ancora ad oggi è bloccato. Perdono poi l’iscrizione al nido, perché alla scadenza di maggio il bambino “non risulta residente”.
Inevitabile il ricorso al giudice per tutelare Davide. Con decreto del 12 aprile 2019 il Tribunale di Rovereto, con parere favorevole della Procura e del giudice tutelare, accoglie gli argomenti del ricorso curato dall’avv. Alexander Schuster. Per il Collegio roveretano: “un soggetto non può avere status diversi nell’ambito del territorio nazionale”. Mettere in discussione gli atti formati in Italia è una competenza dei pubblici ministeri, non dei sindaci.
Il Tribunale roveretano entra comunque nel merito e afferma che correttamente sono state registrate due madri, perché nel diritto italiano il consenso dato dall’uomo convivente alla fecondazione eterologa della compagna gli impone di essere padre e assumersi le responsabilità di far nascere un bambino in quella maniera. Lo stesso principio deve applicarsi di fronte al medesimo consenso dato dalla compagna convivente. Per i giudici della Città della Quercia: “Il diritto alla bigenitorialità e al mantenimento dello status di figlio deve essere quindi riferito alla coppia genitoriale, qualunque essa sia».
Le due mamme hanno dichiarato: «Potevamo immaginare che il sindaco di Rovereto potesse obiettare al riconoscimento della co-madre, non essendo mai stato vicino a famiglie come le nostre, ma mai avremmo immaginato che si arrivasse a negare a nostro figlio anche la madre che lo ha portato in grembo.
È rimasto un fantasma in Italia per sette mesi, senza accesso ai servizi per l’infanzia. Non poter accedere al nido, non poter identificare un neonato alla reception di un hotel, rapportarsi con Ips e polizia vedendo l’imbarazzo dei funzionari di fronte ad un minore senza genitori sulla carta: situazioni orribili per giovani genitori che, come noi, hanno le loro famiglie di origine fuori Provincia». E proseguono: «Comune, Ministero dell’interno e Avvocatura dello Stato sanno che siamo famiglie felici e cercano di toglierci l’unica cosa che ci rimane: la serenità».
Per il legale Alexander Schuster «questa situazione inedita mostra i paradossi di un diritto che ignora la realtà e pretende di relegare all’inesistente chi vive in carne ed ossa. Abbiamo trattato in quest’ultimo anno decine di situazioni simili, ma in nessuna parte d’Italia mi era capitato un Sindaco che rifiutasse una regola presente in ogni epoca e civiltà umana: non si può negare alla donna che ha partorito e che vuole accudire suo figlio di essere madre. La gravità è tale che adesso valuteremo un’azione di risarcimento danni».
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