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Polis Aperta, il neopresidente Guglielmo: «Necessario nelle forze dell’ordine il coming out. Ci rende testimoni del cambiamento»

Claudio Finelli by Claudio Finelli
5 Maggio 2018
in Attualità

Polis Aperta è l’associzione che, fondata nel 2005 e facente parte della rete europea Egpa (European Glbt Police), riunisce persone Lgbt appartenenti alle forze armate e alle forze dell’ordine.

Durante l’ultima assemblea generale ordinaria, tenutasi lo scorso 14 Aprile, sono stati rispettivamente eletti alle cariche di presidente e vicepresidente Gabriele Guglielmo e Michela Pascali. Per i prossimi tre anni essi saranno coadiuvati nel Consiglio direttivo da Simone Bragaglia quale tesoriere, Giuseppe Caputo quale consigliere e Daisy Melli quale consigliera e addetta Ufficio stampa

Incontriamo proprio il neopresidente Guglielmo, per avere maggiori ragguagli sulla mission e i prossimi obiettivi di Polis Aperta.

Quali sono gli obiettivi che si propone il nuovo direttivo di Polis Aperta? Quale, invece, l’eredità più preziosa ricevuta dal precedente direttivo?

L’eredità più preziosa che riceviamo dal precedente direttivo, e in particolare dall’ex presidente Simonetta Moro, è la consapevolezza che le cose stanno cambiando, che a volte un attacco è più utile di un applauso. Negli anni siamo passati dall’invisibilità (quasi clandestinità dei primi incontri dei soci fondatori) all’essere ricevuti dai ministri di competenza. Adesso facciamo formazione rivolta ai colleghi di ogni corpo e anche questa è un’eredità del grande lavoro fatto da Simonetta Moro, che ha tradotto e adattato alla situazione italiana il toolkit creato dall’Università di Dublino insieme a G-Force (la Polis Aperta irlandese) e diffuso dopo la VI° conferenza internazionale europea delle polizie Lgbt a Dublino (organizzata dall’Egpa).

Uno degli obiettivi che si propone il nuovo direttivo è la celebrazione tramite conferenze ed eventi del calendario Lgbt, a partire dalla Giornata della memoria del 27 gennaio chiudendo con il World Aids Day del 1° dicembre, passando attraverso Idahot, T-DoR, Bi-Sexuality Day nonché sfilando al più alto numero di Pride in Italia e all’estero.

Il muro di antagonismo, che storicamente oppone le Forze dell’ordine e la comunità Lgbt, può e deve cadere: noi in qualche modo facciamo nostri i moti di Stonewall, li rivendichiamo come esempio di quello che la polizia oggi nel 2018 non può e non deve mai più fare. Gli abusi delle forze di polizia quel 28 giugno 1969 hanno creato quella scintilla da cui è divampata quella fiamma fortissima che è il movimento Lgbt. Quella fiamma che porta oggi gli operatori di polizia Lgbt non solo a non osteggiare i Pride, ma addirittura a sfilarvici e organizzarli.

Secondo lei qual è la criticità più diffusa relativamente alla vita delle persone Lgbt che militano nelle forze armate e nelle forze dell’ordine? Qual è il tasso di omofobia che, secondo lei, persiste nell’ambito di queste categorie professionali? 

La criticità più diffusa per le persone Lgbt in uniforme sta nell’autoaccettazione. Si combatte a testa alta quando, si sa di stare dal lato giusto della storia. Ma quando sei convinto di essere sbagliato non riuscirai a fare nulla e ti nasconderai terrorizzato dalla possibilità di essere scoperto. E qui torniamo in gioco noi, non solo offrendo ai colleghi che lo chiedono quell’orecchio pronto ad ascoltare, a confrontare, a capire. Ma la nostra stessa presenza, esistenza, la tranquillità con cui trattiamo le nostre vite sentimentali, sono un esempio tangibile che si può indossare una divisa e vivere la propria esistenza in assoluta tranquillità.

Questo non significa che l’omofobia nelle forze dell’ordine non esista, anzi, è dura da scardinare. Ma ormai è cominciato quel percorso, o meglio quel meccanismo mentale, che porta i colleghi più beceri a trattenersi, per paura di imbattersi in sanzioni. Non è più tollerabile, e di fatto non è più tollerata, l’omofobia: essa è fonte di imbarazzo per gli alti comandi e si vigila molto affinché chi proprio non vuole comprendere cosa significa riconoscere (e non tollerare, si tollera qualcosa di fondamentalmente sbagliato) e rispettare, si adatti o almeno si trattenga. Oggi non è il collega omosessuale che deve nascondersi ma l’omofobo. Il cammino è lungo ma noi ci siamo.

Consiglierebbe a un suo collega non dichiarato di fare coming out? Se sì, perché?

Prima di tutto, mi piace sottolineare che l’attuale Consiglio direttivo è il primo totalmente “visibile” o se preferite “dichiarato”. Io consiglio ai colleghi non dichiarati di venire allo scoperto per due diversi motivi: in primis abbiamo riscontrato che i colleghi dichiarati hanno meno problemi sul posto di lavoro, in secondo luogo il coming out ci rende forti e visibili, ci rende testimoni del cambiamento. Esso è la risposta a quanti ancora oggi (per fortuna sempre meno) sostengono che non esistiamo, che non sono conciliabili uniforme e l’essere Lgbt.

Ribadisco: se ci sono problemi, ditecelo e noi vi aiuteremo, anche e soprattutto grazie all’Oscad. L’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) fa capo al ministero dell’Interno e vi si appoggiano tanto la polizia di Stato quanto l’arma dei Carabinieri.

Ultimamente assistiamo a una recrudescenza delle violenze omofobiche nel nostro Paese. Quale può essere l’aiuto concreto di Polis Aperta nella lotta alla violenza e all’odio di genere?

Il ruolo di Polis Aperta nella lotta alle discriminazioni è fondamentale, anche in virtù del tremendo fenomeno italiano dell’under reporting: da noi si denuncia molto poco un crimine di natura omo-lesbo-transfobica, per paura di essere giudicati, di essere maltrattati, di essere smascherati. Se avete timore, contattateci o contattate l’Oscad e noi vi porteremo da personale formato e preparato che prenderà la vostra denuncia e porterà avanti le indagini al fine di perseguire gli autori di reato (anche se in uniforme).

Ricordiamo anche che non esistendo in Italia una legge specifica contro l’omofobia, è impossibile attraverso il database nazionale riconoscere i crimini di natura omo-lesbo-transfobica. Quindi il ruolo dell’Oscad è anche quello di creare una statistica, affinché non arrivi il politico di turno a dire che non esiste l’omofobia in Italia, perché non ci sono reati registrati. Denunciate, denunciate, denunciate. Come singoli o come associazioni, notiziate Oscad della commissione di un reato nei confronti della comunità Lgbt.

I nostri prossimi appuntamenti saranno la conferenza di Siena il 16 maggio, per l’Idahot, a titolo La violenza legittimata. Gli aspetti ambigui della comunicazione: la costruzione dei pregiudizi attraverso le parole, e soprattutto la IX° conferenza Europea dell’Egpa che porterà a Parigi dal 27 al 30 giugno circa 200 colleghi da 16 Paesi. La delegazione italiana sarà composta da nove persone, della Ps, Cc, Pl, e Ei, 5 ragazzi e 4 ragazze, di diverse parti d’Italia: sei di loro parteciperanno in uniforme, uno (il sottoscritto) sarà in regolare servizio come la maggior parte dei colleghi stranieri.

Tags: coming outdaisy melliegpaforze armateforze dell'ordinegabriele guglielmogiuseppe caputoidahotlgbtmichela pascaliomofobiaoscadpersone lgbtipolis apertasimone bragaglia
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